L’Alzheimer è una forma di demenza generativa che diventa invalidante con il trascorrere del tempo.
E’ molto sviluppata in età presenile, ossia oltre i 65 anni anche se può manifestarsi prima.
La malattia prende il nome dal suo scopritore, lo psichiatra tedesco Alois Alzheimer che nel 1907 studiò gli aspetti neuropatologici di una donna che era morta in seguito ad una malattia mentale sconosciuta.
Tramite un esame autoptico mise in evidenza la presenza di placche amiloidi considerate come gli effetti provocati dall’Alzheimer di cui ancora oggi non si conoscono le cause con certezza.
Alzheimer: sintomi
Il sintomo più frequente e che compare prima è l’incapacità di ricordare eventi accaduti di recente.
Generalmente si manifesta con lievi problemi di memoria fino a terminare con grossi danni ai tessuti celebrali.
Man mano compaiono: disorientamento, depressione, cambiamenti di umore, afasia, problemi comportamentali.
Alcuni recenti studi di cui parleremo in seguito hanno messo in evidenza che la depressione e i continui sbalzi di umore in realtà non siano causati dal morbo dell’Alzheimer, ma possano essere considerati un campanello di allarme che favorisce la diagnosi precoce della patologia.
In generale, il soggetto che soffre di Alzheimer tende infatti ad isolarsi dal contesto familiare e sociale, pone spesso le stesse domande, non è capace di seguire delle indicazioni precise, trascura se stesso, la nutrizione e l’igiene personale.
In media dopo la diagnosi della malattia l’aspettativa della vita varia dai tre ai nove anni.
Alzheimer: diagnosi
La diagnosi precoce di Alzheimer è molto importante e non va per niente sottovalutata. Senza dubbio offre la possibilità di affrontare alcuni sintomi della malattia, ma soprattutto di prendere delle decisioni insieme al paziente ancora lucido.
Attualmente la diagnosi consiste in:
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esami clinici, del liquido spinale, del sangue e delle urine;
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tac celebrali, per verificare la presenza di qualche anomalia;
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test neuropsicologici volti a misurare la capacità di problem solving, la facoltà di dialogare, di ricordare e di contare.
Questi test vengono diagnosticati non solo per valutare l’Alzheimer, ma anche per escludere altre malattie legate alla tiroide o a un tumore celebrale che potrebbero avere sintomi simili, ma escluderebbero la malattia neurodegenerativa e in quanto tali andrebbero trattate diversamente.
Alzheimer: ultima scoperta
Una scoperta tutta italiana pubblicata in questi giorni su Nature Communications rivela delle novità molto importanti per l’Alzheimer che continua a colpire circa mezzo milione di italiani over 60.
Secondo la ricerca condotta da un gruppo di ricercatori italiani della fondazione IRCCS Santa Lucia, del Cnr di Roma e dell’Università Campus Bio-Medico, la causa del morbo di Alzheimer non sta nell’ippocampo, ossia nelle strutture che regolano la memoria, ma il responsabile della malattia risulterebbe la mancanza di produzione della dopamina a causa della morte di lacune cellule celebrali.
In pratica gli studiosi fino adesso si sono concentrati sull’area del cervello che interessa il meccanismo del ricordo.
In realtà a causare la patologia concorrono anche altre aree del cervello come l’area tegmentale vetrale dove viene prodotta la dopamina.
La dopamina è strettamente collegata ai disturbi dell’umore e quindi della motivazione e gratificazione.
Pertanto la depressione che si pensava fosse una conseguenza dell’Alzheimer al contrario dovrebbe essere considerata un campanello di allarme della patologia.
La ricerca mette dunque ben in evidenza che depressione e perdita della memoria sono due facce della stessa medaglia che non vanno assolutamente sottovalutate.